La Signora Moraschinelli e i suoi splendidi 99 anni
La Signora Moraschinelli e i suoi splendidi 99 anni

Martedì prossimo, 9 febbraio, presso l’alloggio della Casa di Riposo di Tirano, saranno più di trenta tra parenti e amici a festeggiarla per il formale 99° compleanno, già però celebrato con un’intensa ora di ricordi il giorno del compleanno reale. Il vero giorno del suo 99° compleanno era il 4 febbraio 1917, registrata all’anagrafe di Teglio “tardi”, come succedeva all’epoca, ben cinque giorni dopo, a causa delle difficoltà di recarsi nel capoluogo per la formale comunicazione di ogni evento.

Lei è Caterina Rina Moraschinelli, nata a Liscedo d’Aprica il 4 febbraio 1917. L’ha incontrata Antonio Stefanini, che racconta…

Le 99 splendide primavere

di Caterina Moraschinelli

“Quando l’abbiamo incontrata, proprio il giorno del suo 99° compleanno, aveva appena indossato una colorata camicetta e stava mettendosi in ordine per l’occasione, ma anche per una festa di carnevale organizzata dalla dirigenza della casa di riposo Città di Tirano nella quale vive da tre anni in un alloggio indipendente, in compagnia di un’altra donna. Parliamo di Caterina Rina Moraschinelli, nata a Liscedo d’Aprica il 4 febbraio 1917, registrata all’anagrafe di Teglio il 9 dello stesso mese, ben cinque giorni dopo, a causa delle difficoltà di allora a recarsi nel capoluogo per la formale comunicazione di ogni evento.

Avvertita in anticipo della visita dal figlio Renato, vigile urbano di Aprica, è preparata all’impegno autobiografico al quale sa di doversi sottoporre e inizia subito, con piglio deciso, a narrarci la sua vita di lavoratrice, di moglie e di madre. È il ricordo di quest’ultimo aspetto quello che la fa sospirare di più e così, nelle sue parole asciutte ma rapide e copiose, par di vedere le sofferenze vissute.

Sposatasi a 27 anni in piena guerra con il compaesano coetaneo Quirino Della Moretta, reduce dalla Ritirata di Russia e da oltre sei anni di vita militare (Spagna nel 1938, poi fronti francese, greco-albanese e russo), i primi due figli furono due tragedie, dovute probabilmente alla Sanità dell’epoca: il primo nacque nel 1945 a Tirano dopo una tribolata notte di trasferimento della partoriente da Liscedo all’ospedale aduano, ma non visse che due giorni, ansimando penosamente, perché - dice Rina - "ero stata costretta a tenerlo in grembo troppo a lungo." La storia si ripeté nel 1947, sempre a Tirano: a causa di un maldestra levatrice, la cui condotta professionale negligente venne stigmatizzata dal Soncelli al suo rientro in ospedale quando la situazione era ormai compromessa, il secondogenito nacque addirittura già cadavere.

Si può immaginare, a questo punto, quale timore potesse nutrire Rina all’idea di avere un altro figlio. Ma erano tempi a loro modo eroici e la nostra minuta, ma vigorosa montanara affrontò la terza e la quarta gravidanza qualche anno dopo, riuscendo finalmente a dare alla luce due bambini in piena salute: Donato nel 1951 e Renato nel 1953. Nel caso di Donato, in particolare, era stata aiutata dal suocero Antonio, in grado di esercitare qualche influenza locale, a recarsi in un ospedale di Milano e ad essere presa attentamente in cura dal prof. Malcovati. Qui poté attendere per quindici giorni l’arrivo del momento fatidico e, nonostante il nascituro fosse piccolo, le fu praticato il parto cesareo, sebbene probabilmente non necessario.

Riguardo alla vita lavorativa, Caterina - due sorelle e tre fratelli dei quali uno poi disperso in Russia - iniziò presto, oltre che a portare il campàcc e ad aiutare nella cura del bestiame sui ripidi pendii di Liscedo d’Aprica, a lavorare in casa d’altri. Così faceva già a diciott’anni, occupata alla Gatta di Bianzone dai Mascioni, dove faceva da mangiare e da lavandaia ad almeno quattro uomini, ma dove le toccò soprattutto la sventura di assistere alla tragedia di due operai morti asfissiati dentro un tino. Per gli stessi Mascioni lavorò poi oltreconfine a Campascio, dove però l’impegno nei campi alternato a quello in cantina era particolarmente insano e allora se ne andò, trovando tramite una compaesana lavoro nella famiglia di un farmacista a Pontresina. Prima del matrimonio fu impegnata, sempre come donna di casa, anche a Milano per due-tre anni proprio in tempo di guerra e, infine, per qualche mese anche a Canzo, dove parte della famiglia milanese si era trasferita per sfuggire ai bombardamenti sul capoluogo lombardo.

Una volta sposatasi, Rina andò a vivere in casa del marito e, dopo alcuni anni, la famiglia si trasferì da Liscedo a San Giacomo di Teglio, dove rimase per vent’anni allevando bestiame, lavorando campagna in affitto e (il capofamiglia) come autista per la ditta vinicola Bettini. Infine, il ritorno all’Aprica e gli anni più tranquilli del meritato riposo, fino alla nuova casa a Tirano "per non essere d’impiccio alla famiglia", dalla quale Caterina esce per andare anche da sola al mercato o a fare una passeggiata. O portata dai figli nella baita in Val Belviso e all’Aprica nella stagione calda, come successo anche l’estate scorsa".

 


Data: 05/02/2016