Migrare in Svizzera negli anni ’50
Migrare in Svizzera negli anni ’50

All’ospedale San Sisto, oggi, sono arrivata a piedi, in un raro giorno di sole e sono arrivata non per questioni mediche, ma semplicemente per bermi un caffè, per riandare a quei 5 passi mentali che poi sono decenni abbondanti.

5 passi mentali che mi riportano negli anni ’53-’54 quando a quell’ospedale sono arrivata per l’allora obbligatoria visita medica al passaggio della frontiera. Il complesso ospedaliero era molto ridotto rispetto a quello d’oggi giorno. Ricordo che c’erano le Suore, ancora le agostiniane, oggi ancora presenti in altre Opere sociali. La visita è stata molto semplice e modesta a differenza della seconda visita fatta anni dopo a Domodossola, dove ci avevano messe in massa in un locale nude, quando le ragazze, a quei tempi, non potevano ancora indossare i pantaloni e gambe  e braccia, oltre al resto, dovevano essere coperte. Da immaginare il comune disagio anche se quei corpi nudi di belle e giovani ragazze non poteva certo creare disgusto... se mai inutile vergogna. Niente di tutto questo, in quella occasione all’ospedale San Sisto. Ero alla mia prima entrata in Svizzera e seguivo l’onda ormai unica per il lavoro, che era quello dell’emigrazione in Svizzera. Ero l’ultima della numerosa famiglia a seguire quella via, anche se evidentemente lavoravo da una vita in Patria. In quella occasione ero accompagnata nientemeno che da quattro uomini. Evidentemente non rapita, ma operai della cerchia parentale che diretti al loro posto di lavoro, avrebbero dovuto accompagnarmi da uno dei fratelli, occupato nei boschi di Tamins e in quel paese mi aveva trovato il posto per fare la stagione estiva. Quindi la sosta all’ospedale San Sisto di Poschiavo, non fu che una prima tappa e poi,  dimenticata in un angolo della geep, da quegli uomini , che evidentemente parlavano solo di legname, che era poi il loro lavoro, continuammo il viaggio.

 

La geep, dopo quella obbligata sosta, saliva, saliva. Non mi stupivano le montagne visto che, anche se più maestose, non differenziavano tanto da quelle che fanno corona al mio paese. Finalmente, a un certo punto eccoci a un tratto pianeggiante, ma non eravamo arrivati. Infatti dopo un altro tratto di strada di nuovo salita. Forse a quel punto , su strada più difficile visto che mi vedevo quella geep sul punto di rovesciarsi a ogni curva. Si trattava dell’Albula? Ma dove era quel paese? Già ci andavo malvolentieri perché credevo destinata a Berna dove avevo le due sorelle e un altro fratello, ma allora non avevamo scelta, Si continuava il cammino della vita dietro una spinta non guidata da noi., ma dalle circostanze che si affacciavano, piacevoli o meno che siano. Immersa in questi pensieri confusi, la geep a un certo punto si ferma sulla strada davanti a un fabbricato. Che delusione!

 

Non conoscevo ancora ambienti o alberghetti in stile contadino. Per me quella costruzione, in prevalenza legno fuori e dentro non poteva che essere  che " stalla e fienile", (solo in un secondo tempo mi resi conto che era un ambiente tipico in stile contadino e molto apprezzato, ma l’impatto fu scioccante). Ma non ebbi tempo di manifestare le mie perplessità. I quattro uomini, dopo avermi "scaricata" e fatto due parole con la proprietaria rimontarono sulla geep e proseguirono verso Tamins dove abitavano e lavoravano. Mio fratello in quel momento era  occupato nel bosco e io non avevo che da seguire la Signora e da li incominciò la mia prima stagione in Svizzera, in quel di Bergügn che, anche se fu un poco incerto l’avvio, non si dimostrò essere poi così tragico come mi ero immaginata al primo impatto.

E qui metto il punto, anche se spunti per parlare di Bergügn non me ne mancano, ma la tazzina è vuota sul tavolino del bar dell’ospedale di San Sisto. Sarà per un’altra volta!

 


Data: 23/04/2012
 
23/04/2012, 16:25
Un caffè di memoria a Bergügn

 

Dopo il caffè bevuto all’ospedale San Sisto di Poschiavo, beviamone un secondo tuffandoci negli anni 53-54.

 

Il primo impatto, arrivando a Bergügn in quei tempi, superato il dubbio d’impatto con un fienile, e resomi conto che ero approdata in un ristorantino tipico del posto, misi il cuore in pace.

L’immagine più caratteristica, del paese rilevata nei primi giorni del mio soggiorno, anche se ancora non aveva l’insegna dell’Unesco, fu il trenino rosso che sfrecciava via nel piano e arrancava con fatica sulla salita in direzione Ambula. Nel mio caso, quel trenino costituiva anche un aggancio con la terra di casa. Infatti arrivo e partenza da Tirano, quindi in Patria. Una delle prime sorprese, girando nei momenti di pausa dal lavoro nel quale fui immediatamente immessa, come da contratto, fu  quella di trovare un paese fatto quasi unicamente di anziani e di bambini. Ma dove erano i giovani? potrei dire – emigrati -, ma in pratica loro erano pur sempre in Patria, ma trasferiti pur per lavoro ne centri più vicini: Thusis,  Coira,  Zurigo e altri. Eppure il lavoro non mancava a casa loro visto che Bergügn era (e lo sarà ancora) uno fra i più importanti centri turistici dei Grigioni. Mi ci volle poco, in seguito  a capire che era di quel periodo in atto la legge sul lavoro,  che si protrarrà, se pur con delle modifiche ,fino agli anni settanta ca. 

Un ordine che noi, nel corso degli anni seguiremo, anche senza entrare nei dettagli: Al primo posto quindi indiscusso i padroni di casa, gli svizzeri che occuperanno i posti di comando e responsabilità.

Fanno seguito austriaci e italiani del Nord prima e poi del Sud, nei lavori manuali e solo fino a un  certo livello. A distanza di tempo, aprirono la frontiera  a Spagnoli, poi Portoghesi, poi Jugoslavi e infine Turchi. Passaggi che avvenivano a distanza di tempo a secondo dell’evolversi della domana. Interessante notare che in questo susseguirsi di personale i permessi erano ben regolati; i primi andavano avanti (vedi l’apertura del lavoro in fabbrica, negli ospedali e dentro nel ristorante stesso con accesso a camerieri, cuochi ecc…Mentre i nuovi che seguivano dovevano occupare gli ultimi posti con la possibilità anche loro di avanzare man mano che seguivano gli altri. Questo fino agli anni 70 ca.

Una bella organizzazione che tutti i paesi d’emigrazione avrebbero dovuto seguire. Infatti poi quando le frontiere furono aperte indiscriminatamente, come tutti sanno, è stato il caos e tutti, noi compre, dopo avere acquisito posti importanti, ci siamo cascati dentro e a fatica abbiamo dovuto a adattarci a situazioni di ripiego, dopo che le nostre ditte hanno subito il fallimento. 

Altro che  colpevolizzare Schwarzenbach di aver cacciato gli italiani!!! A nostro modesto parere, certamente non condiviso da chi non c’era, avrebbe dovuto  arrivare cinque anni prima a frenare il discriminato afflusso di manodopera  e il lavoro ci sarebbe stato per tutti (quelli che c’erano).E le prestigiose ditte, come la Veron che aveva appena festeggiato i cento anni e dava lavoro oltre che a noi emigrati, a tutta quella gente di una certa età, del quartiere dove era locata.

Parole inutili perché la storia non la scriviamo noi che l’abbiamo vissuta, ma chi lo farà per sentito dire.

Ma la mi intenzione era di bermi un secondo caffè a Bergügn per ricordare. Infatti, dopo i primi giorni di incertezze in quel grazioso paese, tutto procedeva bene. Qualche intoppo per la lingua come in quella occasione in cui , entro il ristorante  fui avvicinata da un distinto signore per parlarmi. Dalle sue parole deduco un invito a andare??????. Caso volle che sulla parete di fronte ci fosse una locandina con l’invito a una festa. Il mio sguardo è attirato dalla parola – danza – parola . A quel punto la mia risposta fu alquanto scortese. Non avevo certo intenzione di andare a ballare. Lui se ne andò mortificato e solo in seguito lo riconobbi nel Pastore della chiesa locale e sicuramente il suo invito non era per il ballo ma a un incontro religioso.

 Una novità, unica la casettina , uso trasporto all’inerno del paese. Carina da vedere. Ma a me stava sul gosso ogni qual volta la dovevo utilizzare. Eppure c’erano le signore degli Hotel che la usavano per portare o prendere bagagli dei clienti alla stanzione, ma anche per portare bambini o qualsiasi altra cosa. La copia in miniatura di quella trainata dai cavalli per il trasporto del fieno e cose del genere. Caratteristica e penso unica nel suo genere, da quanto mi risulta, ma se mi capitava di doverla usare, lo facevo m con ripugnanza: mi faceva sentire più animale che persona. Ma gli usi vanno rispettati e all’occorrenza non potevo esimermi dall’usarla.

Ma a animare Bergügn in quella stagione è stato il film di Heidi (la prima versione?) Ha occupato tutta la stagione estiva. Gli alberghi si sono riempiti e le strade animate specialmente a sera quando i protagonisti erano nel paese.

Un ricordo piacevole quando di buon mattino vedevo frecciar via la Jeep con i due piccoli protagonisti, Aidi e Peter che li portavano sulla frazione di Lach dove seguivano le riprese. Un lavoro molto impegnativo e faticoso per i due bambini, da quanto si diceva in giro. Altro ricordo il giorno che è stato mobilitato tutto il paese per la ripresa della Processione. A ciascun partecipante l’offerta di 25.Fr. Peccato che io ero occupata. Sarebbe stato una grande novità.

Sempre inerente alla produzione del Film, sere in cui parte della tropue veniva nel ristorante. Ricordo il vecchio nonno e la zia?. La mia sorpresa era vederli magari mangiare due uova alla coque. Altro che sorpresa! Personaggi che erano sulla breccia e alloggiavano nel più grande Hotel del paese, prendersi quel gusto di mangiare due uova era fuor di misura! Ma i gusti sono gusti.

Il caffè nella mia tazzina è finito e quindi, anche per questa volta, punto e basta.

luisa moraschinelli


Autore dal
11/11/2010