federalismo all?italiana
federalismo all’italiana

Sintesi fatta da me su un articolo di Cesare Pinelli apparso sulla rivista mensile Mondoperaio n. 8/9 2011  mondoperaio Leggi l’articolo originale: lucavitali.altervista/doc/FED2.pdf

 

Federalismo all’italiana

La nostra storia istituzionale ,a partire dal secondo dopoguerra, ha sempre visto nel decentramento e nell’autonomia una modalità per riformare in senso democratico la struttura statale centralista, prima grazie al regionalismo negli anni ’70, e poi, a partire dalla fine degli anni ’90, anche in nome di quella maggiore efficienza che generalmente viene associata ai processi di federalismo. Purtroppo gran parte di queste aspettative sono andate deluse, e oggi stiamo perciò promuovendo un federalismo incapace di risolvere quegli stessi problemi che ieri ci auguravamo di superare attraverso

il regionalismo: inefficienza amministrativa, mancanza di responsabilità politica nel controllo della spesa pubblica, e naturalmente continua tensione tra centro e periferia. E’difficile sostenere che le fratture storiche su cui è nato il paese abbiano fatto dei passi indietro, e che oggi le istituzioni siano più unite di quanto lo fossero un tempo, vista la tensione tra policentrismo e statalismo che è oggi presente anche all’interno del federalismo fiscale: infatti, poiché il principio di territorialità proprio del federalismo fiscale minaccia il potere statale, così come l’autonomia di spesa rafforza il potere degli enti locali, per reazione prende corpo una tendenza all’accentramento.

 

Le competenze concorrenti

Basterebbe ricordare la lunga serie di competenze “concorrenti” tra Stato e Regioni (art. 117 della Costituzione), per rendersi conto di quanto il Titolo V non solo “divida”, ma anche “unisca” tra loro i diversi poteri istituzionali in un intreccio difficilmente governabile perché basato su ampie aree di sovrapposizione burocratica. Ogni volta che una decisione legislativa entra nella fase di applicazione da una parte si trova perciò lo Stato, e dall’altra le miriadi di poteri locali che risultano coinvolti nel processo.

 

La confusione dei poteri

All’interno del Titolo V esistono del resto due diversi poteri di regolazione che si intrecciano tra loro: quelli con cui si può legittimamente avviare una decisione legislativa, e quelli legati soltanto alla attuazione amministrativa. Regioni e Stato sono titolari di poteri del primo tipo, che nella Costituzione si articolano per “materie”. I Comuni sono invece titolari esclusivi delle “funzioni amministrative”, purché possano assicurarne l’esercizio unitario. Nel passaggio

Stato-Regioni-Enti Locali, questi ultimi debbono di volta riferirsi allo Stato, alle regioni o anche ad entrambi, a seconda che le competenze siano divise o concorrenti.

 

Attuazione della L.42/09 (decreti attuativi sul federalismo fiscale)

L’approvazione quasi unitaria dei decreti previsti dalla legge è stata generalmente negoziata in maniera confusa, determinando una prevalenza di scelte occasionali su decisioni di lungo periodo. L’esenzione dall’Ici sulla prima abitazione ha ad esempio introdotto delle forti distorsioni a livello locale: Comuni turistici ricchi di seconde case hanno gettiti notevolmente superiori alla media, salvo poi dover “ricentrifugare” le differenze attraverso un sistema di perequazioni profondamente statalista. Prevedibile è stata la reazione degli enti locali, legata alla necessità di battere

cassa. Numerose province hanno deciso un aumento della addizionale relativa alla Rc auto. Così come diversi

Comuni capoluogo hanno già previsto un rialzo della addizionale Irpef. Sono coinvolti circa 10 milioni di italiani, ai quali non sarà facile spiegare su cosa le forze politiche hanno trovato l’accordo in Parlamento.

 

Distorsioni

Dove c’è lo statalismo anche il clientelismo mette radici. Che dire delle nuove Province di recente istituite anche al Nord? Evidentemente una Provincia non si nega a nessuno,  visto che questa poi si tira dietro la sede della Prefettura, quella della Guardia di Finanza, dell’Agenzia delle Entrate e degli altri uffici periferici che dalla sua esistenza derivano. In nome degli interessi il clientelismo lega così tra loro istituzioni e territori che altrimenti potrebbero essere più

autonomi. Naturalmente è vero che oggi non è più facile come un tempo individuare un modello storico di federalismo a cui richiamarci, perché a partire dal secondo dopoguerra le esperienze in tal senso ispirate hanno avuto sviluppi tra loro molto diversi. Ma che tipo di federalismo è quello a cui rinvia il Titolo V,  dove l’unica leva di effettivo governo continua a essere quella finanziaria regolata a livello centrale?


Data: 04/12/2011