GLI ZAGABRI D’APRICA SALVATI DAI LAGER NAZISTI
GLI ZAGABRI D’APRICA SALVATI DAI LAGER NAZISTI

Da anni si ripete il “giorno della memoria”, il 27 gennaio, che tutti sanno istituita per non dimenticare la Shoah ed è giusto che si faccia, tenuto conto che è il massimo male fatto a una parte dell’umanità, nell’ultima guerra.

La stampa fa bene a parlarne, anche se a noi sembra che si ripeta sempre allo stesso modo, come a tirar fuori dal cassetto le stesse fotocopie.

Difficilmente vediamo accennare a quella parte positiva, se così si può chiamare, di quelli che si sono salvati e non solo, ma anche di chi li ha portati in salvo. 

 

Noi che c’eravamo a quei tempi e abbiamo nella memoria, anche queste “fortunate” situazioni. Tante attività parte di interesse, il più di sincera umanità che hanno permesso a tanti di salvarsi. 

Azioni favorite dai paesi di confine , dal 1942 agli ultimi giorni della guerra. 

Vedi le famiglie provenienti dalla Croazia, ospitate per un paio d’anni all’Aprica, prima ancora che ci fosse la persecuzione in Italia, ma già in atto in quelle nazioni slave. Famiglie intere di ebrei provenienti  da Zagabria e per questo da noi denominati, ancora oggi “zagabri”. Un numero di circa 200 persone guidate  da una  segreta, ma attiva organizzazione dietro la quale, come si vociferava fra ragazzi della nostra età, dall’uomo bianco da Roma.

 

All’Aprica furono ospitate come – sciori – parte negli alberghi allora esistenti, altri nelle case private, ma non erano di peso, perché , ricordo, pagavano tutto anche il gerletto di legna che portavamo loro.

Giunto il pericolo, furono ancora due sacerdoti, don Carozzi che, si diceva, inviato da Roma a quello scopo e don Cirillo, un parroco del posto. Fu cosi che una sera, all’improvviso,  avvisati dell’imminente pericolo gli fecero abbandonare tutto e li accompagnarono sulla montagna verso il confine svizzero e verso la salvezza.

 

E in questi ultimi due o tre anni, non solo abbiamo avuto la conferma che si sono salvati, ma in particolare per l’opera in atto di un professore della Nuova Zelanda, Alan Poletti, che sta realizzando un libro in merito, dopo varie ricerche, non solo abbiamo saputo che si sono salvati, mostrandoci anche la lista con dati e registrazione avvenuta allora in Svizzera, ma ci ha riportato all’Aprica, gente, allora bambini e oggi adulti, che sono tornati a rivedere quei posti.

 E ci piace qui ricordare, anche se già ne abbiamo parlato, Vera  Neufeld da Sydney,  oggi quasi settantenne e il croato Bracco, che due  anni fa, con il prof. Poletti, sono tornati a rifare il sentiero da Tirano su, verso la montagna. Era accompagnata dal marito e da un figlio e parecchi amici. Commovente all’Aprica vedere i rifugiati di allora, riconoscere le case dove avevano abitato in quei lontani anni di pericolo.

 

Questo il caso dell’Aprica, ma anche in altri paesi della zona di  confine in  Valtellina, ma non solo, sono avvenuti. Ma di questo nessuno ne parla mai.

Personalmente ho ricordo anche dell’ultimo momento, quando gli ebrei costretti a fuggire dall’Italia, io a sevizio in un alberghetto nei pressi della stazione di confine, a Tirano, vedevo questa gente arrivare spinta dal pericolo, che cercava di mettersi in salvo. 

Prendevano alloggio nell’albergo come turisti qualsiasi e  di sera venivano i passatori del posto a prendere gli accordi e nella notte li accompagnavano  sulla montagna e da lì trovavano la salvezza e, stranezza del caso, ripensandoci, due dei caporioni tedeschi avevano l’alloggio nello stesso albergo, ma non ho mai visto arrestare alcuno di quei fuggiaschi.

Certo questi ebrei di cui abbiamo parlato, hanno avuto più fortuna di quei loro fratelli finiti in Germania, ma va anche riconosciuto che sono stati aiutati, anche se oggi nessuno ha la pretesa di un “grazie”, basta riconoscere che anche se c’era un certo interesse ad aiutarli, il senso d’umanità non è mancato nei nostri paesi della fascia di confine con la Svizzera che li ha ospitati.


Data: 27/01/2011