NATALE D’ALTRI TEMPI, APRICA ANNI’40
NATALE D’ALTRI TEMPI, APRICA ANNI’40

Quando Gesù Bambino disponeva di un supermercato con offerta limitata

 

Siamo in un piccolo paese di montagna con sei contrade e tutte dello stesso stile. Case costruite in sasso, due piani al massimo, le une addossate alle altre. Case senza riscaldamento, senza servizi igenici, se non di fortuna. Case dove nascevano, crescevano, si sposavano, invecchiavano e adattandola secondo le strette esigenze e morivano lasciando spazio a chi veniva dopo. La contrada non ospitava solo la gente, ma doveva dare riparo anche alle bestie, nell’inverno. 

Per la famiglia: la grande cucina con il focolare, la camera dei genitori e dei nonni se ci sono,  una o due camerette per i bambini, sperando che, grandicelli, vadano a lavorare, per guadagnare il pane per sé e per chi veniva dietro. Solo poche famiglie  avevano la “stüa”, dove si  radunava  la famiglia al caldo, ma aperta tacitamente a tutto il vicinato.

L’altra parte dello stabile, stalla e fienile, era per alloggiare le bestie, ma serviva anche alla gente per ripararsi dal freddo.

 

E’ la vigilia di Natale. Niente alberelli, niente presepe (verranno dopo),  ma l’atmosfera della vigilia è viva, scintillante;  la più vicina alla nascita di Gesù.

Per le strade dove si vive in stretto rapporto come di grande famiglia, c’è un tacito movimento di mamme e di bambini. Le mamme con il grembiule in vita, entro il quale nascondono qualche cosa che non si deve vedere; i bambini che vanno nei fienili a prendere una manciata di fieno da mettere sul piatto, alla finestra, per sfamare l’asinello nel suo passaggio.

Alla sera della vigilia, sia nella stüa che nella stalla, la gente è in grande attesa.

 

Nessun pranzo, forse nemmeno la solita scodella di minestra, tenuto conto che c’era da fare la St. Comunione alla messa di mezzanotte.

Ognuno occupa il tempo d’attesa come può. La notte passa in fretta se si dorme, ma da svegli è lunga. Il vestiario è misero e il freddo è inteso. A una certa ora, anche se è ancora lontana la mezzanotte, si comincia a uscire per passare,  come in una via crucis, di stalla in stalla,  in direzione della chiesa, nell’illusione di immagazzinare caldo più possibile. Fuori la neve è alta. Lo spazzaneve passa solo sulla Statale. Nella contrada ognuno apre il passaggio, fuori la propria casa, per cui la strada assume un aspetto architettonico. Nessuna illuminazione per le strade. Basta la fievole luce delle finestre delle case, che  permette quel tanto di visibilità per spostarsi e il resto lo si indovina, ma poi il cielo stellato e la luna diffondono la loro luce naturale, quello che non succede più oggi, ostacolata dalla troppa illuminazione.

Intanto ci si avvicina alla chiesa e naturalmente la sosta più lunga è quella dell’ultima stalla dove si cerca  di immagazzinare più caldo possibile, prima di immettersi nella gelida chiesa.

La stalla non è poi l’ultimo posto per una serata natalizia. Lì ci sono tutte le immagini o quasi del Natale: le mucche, le pecore, la mangiatoia, il fieno, i pastori, papà, mamme e bambini….

Manca solo Lui, l’atteso,  il Salvatore. 

 

Si intercala qualche chiaccherata  con una tacita meditazione, la mezzanotte si avvicina e si va’ verso la chiesa. 

La chiesa priva di riscaldamento. Gli indumenti non sono certo all’altezza del freddo, ma c’è sempre la grande sciarpona della mamma che permette di infilarci le mani al calduccio,  ma strano! nei ricordi, c’è solo tanta luce, canti, se non proprio celestiali, sufficienti per elevare lo spirito e l’emozione raggiunge il massimo quando scoprono il piccolo Bimbo nel predisposto cesto ai piedi  dell’altare. Nessun ricordo del freddo se non quello che potrebbe soffrire Lui, il bimbo, lì nudo (riceverà un abitino solo con il primo dell’anno) e la funzione finisce in gloria (come si usa dire).

 

Alla fine tutti di corsa a casa. A ricordarci che siamo ancora umani e non angeli, c’è il piatto caldo di gnocchi di patate che la mamma ha preparato e poi via a nanna. L’atmosfera di mistero però continua. Guai a guardare alla finestra. Il Gesû Bambino viaggia in tarda notte. Ma che sforzo per tenere gli occhi aperti sperando di vedere, almeno una volta, quei messaggeri del cielo arrivare nelle nostre case. Ma non c’è verso. Il sonno arriva sempre prima.

Al risveglio del mattino, lo sguardo si posa su i vetri della finestra, dagli arabeschi ricami prodotti dal gelo, ma poi un salto dal letto e ecco sul davanzale della camera dei genitori, ognuno trova il proprio piatto, a testimonianza che il Bambino è venuto davvero. Che gioia portono, con sè, quei luccicanti doni! I mandarini, (ancora rarità ai tempi da noi) sono quelli che spiccano di più, ma c’è il torrone, caramelle, biscotti, frutta secca,  e per chi va a scuola, una scatola di colori (di sei pezzi). 

E la giornata continua in tale atmosfera. Il pranzo? I tipici pizzoccheri  e poco più, ma tanta felicità.

Interessante l’incontro con gli altri bambini, lungo la giornata a mostrare i doni ricevuti, ma senza destare invidia o rivalità. Visto che si rassomigliavano tutti. Fa pensare che a quei tempi, Gesù Bambino  disponeva di un unico supermercato con  offerta limitata.

Luisa Moraschinelli/Natale 1940-2010


Data: 13/12/2010